fbpx

«Che cosa ne avremo?»

Il rischio nella dinamica evangelica tra Dio e uomo

 

Il rischio di investire per riavere il centuplo

Pietro disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?» (Mt 19,27)

Pietro, che è un discepolo caparbio ma forse un po’ testone, si pone questa domanda un po’ avanti nel Vangelo di Matteo, quando ormai i giochi sono quasi fatti. La domanda forse anche noi ce la siamo fatta qualche volta, passati gli entusiasmi iniziali e quando il servizio e la routine sembrano pesare un po’ di più: ma che ci guadagno per tutta la fatica che ci metto? Ne vale la pena? Qui mi sembra che si possa innestare un primo significato che ha il termine rischio, un significato che prendiamo a prestito dall’ambito economico. Il rischio fa parte di ogni operazione finanziaria in cui bisogna anticipare dei soldi per vederseli tornare.

Colui invece che aveva ricevuto un solo talento andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. […] «Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse!». (vedi Mt 25,14-30)

In questo caso rischiare significa rimetterci qualcosa nella speranza che mi ritorni indietro un guadagno, in una misura non assicurata. Il meccanismo è lo stesso in agricoltura: se non getto il seme non vedrò il frutto (vedi Gv 12,24). Accogliere il Vangelo significa anzitutto fare un atto di fiducia, gettare il piccolo seme della propria fede, abbattere le resistenze, farsi man mano più leggeri, più essenziali, per procedere meglio nel cammino, e questo porta a fare delle rinunce, degli investimenti a fondo perduto. Gesù non lascia inevasa la domanda di Pietro, anche se ovviamente la risposta slitta dal piano finanziario a quello esistenziale: chi segue Gesù avrà già in questa vita cento volte tanto rispetto a quello che ha lasciato (attenzione: stiamo parlando di relazioni, non di denaro!) e avrà in eredità la vita eterna (vedi Mt 19,28-29; Lc 18,28-30).

«Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà». (Mc 10,29-30)

Non si tratta però di agire con sconsideratezza, ma di mettere in gioco davvero tutto di noi stessi fino in fondo, senza riserve. Paradossalmente, è questo il vero modo di far bene i conti per la propria vita e riuscire nell’impresa.

«Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? […] Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo». (vedi Lc 14,28-33)

La metafora del tesoro ritorna nelle parole di Gesù, come a raccogliere la provocazione e a rilanciarla più in profondità: qual è il vero tesoro per te? (Vedi Mt 13,44-46 e Mt 6,19-21).

 

L’avventura rischiosa di seguire il Signore

Al di là delle belle immagini, seguire Gesù ha comportato fin da subito una dimensione di rischio per i discepoli e le discepole, che si è andata addensando man mano che il cammino di Gesù procedeva verso i suoi ultimi giorni terreni. I vangeli sinottici, se prendiamo a grandi linee la trama del corpo del racconto, potrebbero in effetti essere riletti come una sorta di route in cui Gesù conduce i suoi attraverso la Palestina, dalla Galilea a nord fino a Gerusalemme a sud. Se all’inizio l’avventura di lasciare tutto per seguire questo rabbi itinerante sembra avere il fascino dei bei racconti, con i discepoli spaventati perché durante le uscite in barca una tempesta improvvisa li sorprende (vedi Mc 4,35-38) o preoccupati perché le provviste scarseggiano (vedi Mc 8,14-21), andando avanti una minacciosa nube di ostilità si alza all’orizzonte.

I farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. (Mc 3,6)

A quel punto non si tratta più di rimetterci dei beni materiali o dei progetti personali, ma di rischiare fino in fondo la propria stessa vita, rinunciando alle rassicurazioni della ricchezza e del potere.

Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada!». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». (Lc 9,51-62)

Emerge qui un altro significato del termine rischio: il pericolo che potrei evitare. Seguire il Signore è un rischio anche nel senso che a un certo punto non si bada più alla propria incolumità: la cosa più importante è andare dove lui mi vorrà e testimoniare la sua Buona Notizia. Vivere questa dimensione costituisce l’identità più profonda del credente e del discepolo, l’ambito da cui egli riceve serenità e gioia. Certo, non è così scontato, e difatti nell’ora più buia, quella della Passione, i discepoli si sono dispersi e hanno abbandonato il Maestro, rinnegandolo (vedi Lc 22,54-62). I Vangeli raccontano questo aspetto senza tacerlo, come a ricordarci che ciascuno di noi si troverà a fare i conti con la propria fragilità. La fedeltà al Vangelo nonostante ogni timore di fronte ai rischi è solo e unicamente frutto dello Spirito Santo in noi (vedi At 1,6-8). Paolo di Tarso è un bell’esempio a cui guardare, secondo quello che racconta lui stesso.

Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. (vedi 2 Cor 11,24-33)

 

Rischiare nella fede e nelle relazioni per riavere vita

Ma quindi che cosa ci guadagniamo in tutto questo rimetterci del nostro e sobbarcarci pericoli che potremmo fare a meno di affrontare? La ricompensa di seguire il Signore, alla fin fine, è il Signore stesso, l’amicizia con lui, e di questo Paolo ne è sicuro (vedi 1 Cor 9,16-27). Tutti i rischi corsi per il Vangelo valgono questo guadagno, che è poi ciò che chiamiamo la vita eterna, il ritrovare noi stessi, viventi, insieme a lui, il Vivente.

Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti! […] Perché ci esponiamo continuamente al pericolo? Ogni giorno io vado incontro alla morte […]. Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. (1 Cor 15,19-32)

La dinamica del rischio è intrinseca al vissuto umano, perché certi investimenti esistenziali non possono essere fatti che alla cieca, sperando di vedere un frutto. Capita nelle relazioni affettive, capita nell’educazione. Qui c’è già una dimensione spirituale, che si manifesta con forza nel rapporto con Dio: mi è richiesto un salto (rischioso) per accedere alla dimensione della fede, cioè di quell’affidamento radicale che mi porta a rinunciare alle mie sicurezze umane per accogliere la sola grazia di Dio. A questo punto il rischio può diventare anche concreto, rischio per l’incolumità fisica o più semplicemente fastidio dovuto all’incontro con l’altro che mi interpella.

In radice, il rischio ha a che fare con Dio stesso e con il suo stile: è lui che per primo ha rischiato investendo in questa storia d’amore a fondo perduto che è la relazione con noi umani. In Cristo abbiamo potuto vedere Dio camminare con noi per venirci a cercare, per mettersi nelle nostre mani fino a una fine cruenta, per spargere come seme fecondo la sua parola e il suo amore che non lasciano delusi, mai.

«Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada […]. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso […]. Un’altra parte cadde sui rovi […]. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». (Mt 13,3-9)

 

A cura di fra Andrea Gasparini

No Replies to "«Che cosa ne avremo?»"

    Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.